FOLIGNO - Presso la galleria DaDa, inaugurata proprio con questa mostra, fino al 29 giugno si terrà Urban 05, la collettiva di tre artisti umbri: David Pompli, Piergiuseppe Pesce e Marino Ficola.
URBAN 05 nasce dal desiderio di contribuire alla comprensione del nostro tempo attraverso le visioni di tre artisti umbri. Luogo privilegiato di osservazione, l’Umbria mostra allo stesso tempo sia i segni dell’antichità che quelli dell’attualità. E’, perciò, di per sé confondente, ma presenta opportunità che solo un occhio educato riesce a cogliere e a interpretare, ancor meglio se aiutati da una visuale artistica.
URBAN 05 nasce dal desiderio di contribuire alla comprensione del nostro tempo attraverso le visioni di tre artisti umbri. Luogo privilegiato di osservazione, l’Umbria mostra allo stesso tempo sia i segni dell’antichità che quelli dell’attualità. E’, perciò, di per sé confondente, ma presenta opportunità che solo un occhio educato riesce a cogliere e a interpretare, ancor meglio se aiutati da una visuale artistica.
Niente meglio dei linguaggi iconici riesce a rappresentare un universo contradditorio, in cui tradizioni antichissimeconvivono con stili di vita e drammi moderni. Come conciliare la Giostra della Quintana e il dramma del Mostro di Foligno? Solo a leggerli accostati ci si sente infastiditi, eppure sono parte della stessa attualità e della stessa comunità. L’urbanità da’ il senso dello stacco dalla naturalità e propone un punto di vista che guarda dentro lo spazio della convivenza urbana, ricco di contraddizioni e di giustapposizioni di cui si rintraccia il senso attraverso le connessioni che uniscono mondi diversi e conchiusi, altrimenti separati dalle diversità che popolano il nostro tempo.
La visione è sintetica, immediata e scarnificata, resa come i murales a perdere della stazione, priva di intenti morali, ma alla fine il senso si ritrova, tra i frammenti immaginari e le composizioni innaturali, nel cambiamento -forzato o no- che i tempi impongono anche all’Umbria (metafora del mondo) e alla coscienze di chi la abita, per scelta o per ventura.
Marino Ficola, appartiene ad una generazione di ceramisti e a questa impronta, suo malgrado, è indissolubilmente legato, così come le clip industriali legano le sue sculture.
La metafora è reificata nelle sue opere dal legare insieme oggetti diversi che altrimenti, insieme, non starebbero. Marino lo sa e lo evidenzia con i colori accesi delle clips. Sono legami che, una volta stabiliti, possono solo stringersi di più oppure si rompono traumaticamente, altrimenti.
In questa versione, lo scultore non nasconde che la composizione degli elementi astratti sta per un’umanità,rappresentata in piccola scala ai piedi di una grande opera informale.
I legami si assimilano al network di internet, anch’essa una rete innaturale che non necessita di una frequentazione reale, ma –appunto- virtuale e che, tuttavia. producono le relazioni di una vita moderna. Sempre più internet è veicolo di emozioni, sentimenti e passioni che non riescono più ad esprimersi in carne e ossa.
I mezzi espressivi di Marino sono complessi e ambigui. Lontano dai formalismi, predilige da sempre le tecniche miste e un approccio globale, difficile da collocare in un solo riferimento di scuola. In ciò l’eclettismo imitativo della ceramica del secondo Novecento è elevato da Ficola ad espressione autonoma, anche nel rapporto corporeo che l’artista sviluppa con le diverse materie utilizzate che costringe alla stessa flessibilità dell’argilla.
Piergiuseppe Pesce affronta in modo e stile del tutto personale le contraddizioni del Novecento. Sul filo della storia ripercorre giocando sulle iconografie assunte a simboli massmediatici.
Più che ad altri si adatta al lavoro di Pesce, la massima di Jean Hans Arp “il faudrait appeler la création de l’artiste: rêvere non pas travailler” e, benché su un altro registro, il sogno di Piergiuseppe si ricollega al surreale universo Dada.
Solo un sogno consente di vedere in versione diacronica una Maternità impersonata da Marilyn Monroe che alleva un piccolo Hitler dove il filo associativo è dato dall’ingresso nel Novecento della comunicazione di massa. Frutto perciò della stessa matrice che riesce a generare sia il piccolo e terribile dittatore che l’icona femminile della modernità. Solo nel Novecento le coscienze sono state così condizionate dalla massificazione mediatica e in tempi così veloci da sfuggire alle normali capacità critiche di un adulto. Mai la storia aveva conosciuto tanto rimbambimento delle coscienze fino al punto di sostituire le consolidate e antiche icone sacre con i nuovi idoli profani. L’operazione di Pesce è quello di rendere la sostituzione evidente, fissandola nelle sue plastiche realizzate con piena padronanza della tecnica e della materia, e così inequivocabili da apparire provocatorie. La fama di artista blasfemo e gratuitamente dissacrante lo accompagna fin dagli esordi con le mostre di Gualdo Tadino e della Metropolitana di Milano, ma è un fama ingiusta. Piergiuseppe Pesce è, in realtà è una persona mite e religiosa ed esprime il dramma del nostro tempo che non riesce a vedere come, per via di innocui cartoons, il Sacro Cuore oggetto di culto per le generazioni del passato sia sostituito dai nuovi oggetti di culto profano noti fin dall’infanzia come i personaggi di Walt Disney, sicuramente più frequentati dalle generazioni del Novecento.
Difficilmente si può dargli torto perché la riduzione a simbolo dei personaggi che abitano le fictions televisive e cinematografiche travolgono anche i personaggi reali. Così è per Bin Laden come per il presidente Obama. Non è il giudizio morale che li accomuna quanto l’identità di supereroi partigiani del bene o del male, ma legati indissolubilmente dal doversi combattere per continuare ad esistere.
David Pompili può dirsi un erede della pop art? Una nota frase di Robert Rauschenberg sulla pittura che si muove nello spazio tra arte e vita sembra adattarsi bene alla poetica di Pompili. Anche nelle tecniche miste che l’artista propone si vede un certo debito con le esperienze della pop art. Tuttavia, l’approccio ai temi è tutt’altro che di maniera. Pompili affronta con originalità i temi che coglie dai drammi sociali dell’attualità, in genere nazionale e internazionale e, forse non dimentico della formazione da architetto, li restituisce in un linguaggio grafico essenziale e di forte impatto visivo. La costante è la denuncia sociale che riprende anche nella veste grafica che richiama una produzione minore e povera, ma di grande diffusione negli anni della contestazione, di cui qualche eco sembra vedersi anche nelle colature cromatiche.
Vi si rappresenta un mondo imperfetto, i cui piani comunicativi si confondono e si frammentano nella sovrapposizione fra messaggi pubblicitari, immagini e graffiti. Fusione di culture e controculture, la comunicazione moderna accetta la contraddizione e mistifica il dramma dell’ingiustizia e della violenza che invade anche il mondo della provincia e non risparmia i più deboli. Ricordarselo e ricordarlo è un bene. David lo condensa in un quadro da interni, di cui è specialista, ma regala a chi guarda una sua pittura una finestra sull’esterno.
Per ulteriori informazioni sulle attività della galleria www.dadagallery.it
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